INTER, è UNO SCUDETTO STILE INZAGHI. BERGOMI: "IL MARCHIO DI SIMONE. LAUTARO è SERIO COME ZANETTI»

C’era in campo anche lui, Beppe Bergomi, quando l’Inter vinse l’ultimo scudetto conquistato aritmeticamente al Meazza. Il campionato dei record, 58 punti, annata 1988/’89. Successivamente i nerazzurri hanno trionfato soltanto in trasferta (sulla carta è accaduto anche stavolta visto che in casa c’era il Milan) oppure “sul divano“ per i risultati delle inseguitrici. Da bandiera interista, Bergomi benedice il successo arrivato in maniera larga, inappellabile.

Non si può dire sia stato uno scudetto “sofferto“.

"Per me lo è stato, in realtà. Perché più la squadra vinceva e più c’era qualcosa da dire. Non so cosa è successo quest’anno, ma personalmente non vedevo l’ora che finisse. La squadra ha fatto un percorso eccezionale: ha vinto con ampio anticipo, in casa del Milan, lo scudetto della seconda stella...".

Vale di più se conquistato a San Siro?

"Cambia poco. Però vedo una similitudine rispetto al 1989: noi battemmo il Napoli che era la nostra prima rivale e lo era anche il Milan quest’anno".

Festeggiamenti giustamente sfrenati, da parte dei giocatori, ma per una volta senza che si andasse oltre il sostenere i propri colori.

"Bisogna avere il giusto stile anche nella gioia. In passato abbiamo visto situazioni non belle. L’Inter quest’anno è stata anche attaccata su più fronti, ma la società è sempre rimasta compatta e si è fatta scivolare tutto addosso".

Tra gli sfottò, sotto forma di striscioni, in Curva Sud si è tornati sull’annosa questione dei “diciannove scudetti sul campo“. Tema che è stato cavalcato in alcune sedi anche in queste ore.

"È una questione da cui non si verrà mai fuori. Viviamo in un mondo, anche al di fuori dello sport, in cui c’è molto livore, invidia. La bravura dell’Inter quest’anno è stata quella di andare oltre tutto questo e tanto altro: le battute sulla “Marotta League“, il caso Acerbi, persino i dubbi sulle modalità d’iscrizione. La società sta in silenzio e lavora. Lo stesso Steven Zhang mi sembra un presidente che delega molto. Tutti gli altri comunicano per lui e, da Marotta ad Ausilio, lo hanno fatto in maniera perfetta, senza rispondere alle provocazioni. La società dev’essere elegante e tenere questo tipo di stile e di comportamento".

Come si rafforza una squadra che vince con cinque giornate d’anticipo?

"Io torno indietro allo scudetto di Conte: vinci e vendi alcuni giocatori importanti. Normalmente accade il contrario: fai due acquisti per rafforzarti e vai avanti. Zielinski e Taremi sono già arrivati. Se riesci a confermare in blocco i tuoi giocatori migliori hai già fatto tanto. E poi si deve individuare un profilo giovane, che magari non sia subito un titolare, ma di grande futuro. Magari un classe 2005...".

Uno come Valentin Carboni?

"Meglio un profilo tecnicamente diverso: una punta da uno contro uno, con qualità che in rosa ti mancano. Mediamente l’Inter è una squadra dall’età alta. Inserirei un giocatore più giovane e possibilmente, anche se costano, infoltirei ulteriormente la colonia italiana perché ti dà un senso di appartenenza".

Lautaro italiano non è, ma non lo era nemmeno Zanetti: il capitano può ricalcare le orme del connazionale?

"Se rinnova può pensare di stare tanti anni ancora. Vedo in questo ragazzo la serietà, l’attaccamento alla maglia. Gli altri anni, nei momenti in cui non segnava, si intristiva. Stavolta lo vedo giocare per la squadra e lottare su ogni pallone anche nei momenti meno brillanti".

Da un simbolo del trionfo a un altro: Inzaghi. Qual è stata la sua mossa vincente?

"Tatticamente dico Dimarco e ovviamente Calhanoglu. Riccardo Ferri, già l’anno scorso, mi diceva che in fase difensiva Hakan è quello che “bastona“ più di tutti. Arriva sempre nelle chiusure, poi sulle geometrie non si discute. Anche non sbagliare mai i rigori è un grandissimo merito. In generale, sul tecnico, torno al punto di partenza: ora dicono tutti che l’Inter è la squadra più forte, ma in estate ha cambiato dodici giocatori e c’è tanto lavoro dietro dopo diverse estati in cui hai fatto un mercato in pari o col segno più. È una cosa che non ho visto riconosciuta a pieno".

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